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venerdì 17 gennaio 2014

Antologica





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"Percorsi qualsiasi strada e via
sentiero e viottolo
rotolai e srotolai gioie e affanni
finchè venni trafitto dalla Poesia.
E lì mi fermai.
In quel luogo ancorai la mia anima.
Ma ora rendimi l'anima
affinchè possa ripercorrere
strade e vie
sentieri e viottoli
rotoli e srotoli gioe e affanni
senza alcuna ancora
che freni la mia metamorfosi"".

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dalla raccolta antologica
"La nave in bottiglia"




Mi appaga guardare il mare
come fossi alla finestra delle gerarchie
d’una stanza spenta,e la sua luce a rischiarare.
Perché così si manifestò egli da prima
e si accompagnò agli altri principi nelle
cronache,nel quale il principio popolare   
col passo dei misteri sulla spiaggia di tanti
secoli per così dire,l’orma s’è fatta pietra.
A volte è facile servirsene,
come un pensiero caduto dalle mani
di un bambino.Ma se ti incontri con lui
cosa puoi opporre a ciò che ti circonda?
Non credo che sottovaluti la mia paura,
la mia coscienza e il punto di vista,ma
non abbandonerà mai la sua vocazione
quando si erge con ala forte e alta,
con battiti epici,sostenuto dal vento
che soffia dalle sabbie del deserto,
oppresso dalle nordiche vele del Greco
dove si prepara ad esplodere in rivoluzione.
Lì mi appare come un’opera carica
di tensione,drammatica di slanci,di echi
di suoni come gorghi aperti e di invettive,
per la sua prepotenza,la veemenza
della forza della voce con cui si manifesta.
Quel mare talvolta in collera che sorpassa
l’anima dei convenuti,dei canti di animali
strepitosi che la suggestione riveste di paura.
Anche sedendoci sulle sue pietre levigate
di rivoluzione,come l’amore dunque,
in cui ogni voce nasce e si amplifica
si può dire e scrivere di un ritmo di immagini
quasi di sensualità pagana,insinuate
in tutte le sue espressioni.A questo il vanto
di chi non lo favoleggia o l’invade.Chi canonizza
i dotti inquinatori asserviti,o gli brucia questo vanto.

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E’ vero,ma queste regole non esistono.
Il nostro odio permanente
è un rapporto fatto sulle navi e sulle macchine
come costante spirito d’innovazione.
E va alla mediocrità con le sue vacanze,le sue
grottesche sabbie,e le sue pattumiere romanze.
Come renderlo più faticosamente “umano”
se molti nelle strade,nei ristoranti
coi loro vocaboli consacrati  addizionano
cose piccole incomparabilmente  più grandi?
Le parole,i mezzi più immediati ed efficaci
d’informazione,tutte le formulazioni verbali
non dovrebbero essere rielaborate dalle sue lune
dalle sue maree,dai suoi venti,e non dalla sua tomba?
Come chi rafforza il suo entusiasmo
e la sua ispirazione calandosi nella vita
quotidiana con scatto subitaneo nella
buona direzione dell’ago di una bussola?
Ma la grandezza dell’uomo non è nel fatto
che egli abbia camminato sulla terra?
E che abbia mangiato di questa terra,
e poi parlato lui barbaro,perfino agli dei,
e che questa idea dell’opera,è un’opera
che si svolge in questa direzione in tutta
la sua varietà di odio,amore,tenerezza,ira,furore,
in tutta la sua aggressione ed errori
nel veloce giro dei mondi?
(Mi raccontava un mansueto uomo:
Mi resta un solo brevissimo passo,
quello in cui entrerò nel suo canto
e nelle sue immagini,in quella densità
e quell’energia della trasposizione che sorreggono
quest’idea  primordiale,che temo di scordare...)


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I

Questo canto della mente
e del corpo in fuga,
il farsi avanti della storia  
l’ondeggiante nome che temi di scordare
senza nulla sapere a guardia,
chi lo trasportò?
Sospinto così dalle vecchie sedi
come il vento ad amare,
lo spirito dello stupore per grandezza
uguale a un dio fra i tormenti e le idee
dai diversi connotati ed elementi…
Dove tutto è fermo,fermo il tempo vuoto
che riempie l’occhio sostanziandolo
per il prossimo viaggio.
Il vento che scombina la cenere!
Il vento che strappa le lumache dal sonno!
Il vento che incendia la saliva!
Talvolta una vecchia figura scurava
contro uno specchio spalancato sulla riva,
l’aspra foglia d’ortica attaccata
a un’orecchio di pietra :
Allora,gioco di luna e ramino
la signorina Nora fumava Camel,
velo di tenebre e mille sembianze
al volo della sua energia perduta,
che il cuore del popolo è un’altra cosa
contrastato da un flebile fiato di vento.
Perché certe donne in certe passioni
vedono più di quel che ci sia,
vedono se stesse,e noi voraci figli
le frecce acute nella veglia,
l’alveare ronzante nostalgia.


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II

Forse tra poco voleranno
fradici d’ombre e di bruchi
uccelli neri d’ardesia,
marciranno le maree in pieno sole
come rughe materne d’una madre
celata e stanca.
Occhi del distacco incollati allo specchio
della luna su una piccola parete dileguata.

Segui quella via;
lascerò aperta la finestra,e ogni
soffio che ferisce ogni taciturno
sogno che cammina scomparirà.

Ma io non riuscivo a toccarti;
le dita servono soltanto per il cuore
nella mia casa che non è più mia
dove gli azzurri Martin trafiggono i costati
a quella solitudine di venti
di unghie di stelle,di luci ammarate
sembianze di cupole celesti rimbombanti.

Per uno di quegl’incanti,
i capelli delle stelle cadevano
a boccoli e la traiettoria della luna
cadeva sulla forma del tuo viso.
Quando il sole smise di brillare
nella stanza,e lo deposero
nel sepolcro sotto un monte di sale.

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V

Fra gorghi impietosi e trafitture
nello scrigno del mare
era il folle profumo:
Sento una sorridente opposizione;
il dolente dell’amore
per il mondo ormai,il divenire reale.

Non è forse tutto un mito
il morbido racconto? E cento volte,
tre ninfe hanno cantato della donna
apoteosi  dove il pensiero non ha limiti,
onde e visioni,tra parentesi e parole
e la tendenza dell’amore verso la
perfezione mai più profonda?

Ventagli d’ostriche tra le lische
in carne e ossa in cedri d’estate.
E in quelle acque trapassate
una lama rossa scende e taglia
le fronti alle nuvole al suono racchiuso
della campana come un’uragano.

Mentre suonando ancora,racconta
l’usignolo in sette note di bosco
e il cuore batte più cupo di mille
coroncine d’alghe,e sciagure
chiuse le ali lucenti del suo vestito
di piume sulle spine assassine,
sul tetto d’ardesia ubriaco di luna.

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VIII

Filavano i nodi simili a grumi
sugli specchi splendidi di sale,
sui gelsi del giardino,negli angoli
in penombra come padri spirituali,
fra il taglio delle brezze,ai raggi solari
il vino delle bottiglie e cattedrali lustre.
Sulle ginocchia calde delle cantatrici.

Mare che olezza mare,con rapido passo
consuma il deserto molo
secca le radici,
i vivi e i morti l’armadio nella stanza
colmo di ventagli e remi.

Metalliche sonorità
vagano remote come molecole dei fuochi
sui fili della luce,come se camminassi
su una vivente energia alata,
e il  pianto comune partecipe di brinose albe;
tre volte tanto come chi bacia la sua nuda terra.
L’oste fiòcina la feccia col lutto delle miserie,
l’ago della bussola s’allunga e marcia
e tocca il cielo la luna di purezza,
con la bocca spalancata.

Oltre questo c’è una luce sconosciuta
oltre l’ineffabile conoscenza,tace
prodiga di unghie carnose e nere
e tempeste,dove s’annida un vacillante miserere. 

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IX

Dove dalle fasce senza fumo
risuonavano d’un antico tac di bambù
voci spopolate,il traino della vita
tra i fichi e i vilucchi in rovina,
madrevite dentro il profondo
mare d’ossa dissimulato.
Del fiato moribondo d’ogni luce
di candela  mascherata,
la figura senza fisionomia e movimento.

Io pensavo a un corpo giovane
a una spiaggia imbiancata,
a una mensa d’ostriche con Poseidone.
A sera,le acri timolacee e le guinee
tremavano nella corteccia,come
ali nere d’uccelli fuggiasche
alle porte di bronzo a dire dove siamo.

Abbaglio fino di lino bianco,
bianco di tutte le lune
bianco sulle spine
mentre aspetto che scenda
su un foglio d’angolo reciso
da vetri arcobaleno la metafora
della notte che risuona sempre lontana.

Lontana dal fondo aperto di un letto
ignoto,quando l’uomo dorme…

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XII

Per me,per me venivano
come rimbombi i suoi profeti e i ricordi
d’ un confine della pena dai remoti abissi,
i fiocinanti.

Il mare sospira con le ciglia aperte.
Il piede che sonda i suoi molli gemiti.
Oh quel mare!
Siete qui,siete là.
Al dolore solitario,alla solitudine dei corpi
dove si bagnano le lune.
Dove dormi.

Nella casa ci sono quattro specchi
dove danzava la tua immagine.
Ci sono porte lasciate senza serrami
e finestre dove il vento soffia libero
scuotendo la polvere degli anni.
Anni immortali.

C’è un brusio nell’aria tiepida della notte
un brusio d’uccelli sul nespolo
e un mare di tormenti presso la porta,
che intessono sospiri senza sosta.
C’è un dio ancora ignoto
prossimo successore al dio marino infestato.

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XVI

…Poi compaiono le punte
il golfo,i gabbiani,le anatre spose
il fiume,i panni stesi.
E’ lì,lì sotto la sabbia che sono le radici:
L’albero del pane
L’albero dell’amore
L’albero della sofferenza.
E una tomba che non puoi visitare,
e i morti sognano con gli occhi dei vivi.
Come una sottile trama alla base del divenire
l’acqua sfugge dalle dita,trattiene
molecole d’esistenza,
il più grande stupore ai risvegli,
i misteri delle stelle e dei pianeti
che mai abbiamo visto se non la loro
luce trapassata,luce e materia
che fluttuando ci consuma…
Ah,se l’acqua del mare non fosse d’altre cose
tutte le lacrime cadute dal cielo muto…
E’ il seme che riprende a germogliare
nel corpo della vita nei suoi momenti
essenziali a quella solitudine della terra.
Se non fossero logore ed esauste le ossa
imbiancate del gesso mortale,
sotto una betulla spenta…

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XVIII

Ho visto gli ultimi gabbiani
navigare come relitti di un’appendice
e il cielo insonne restare muto di stupore,
la chiglia di una nave tagliare l’agonia
come un coltello affamato taglia il pane.

L’occhio d’un delfino lacrimare sale
e quello di cenere di un bambino accendersi
d’amore sul ranuncolo spezzato nel calice,
la lanterna d’una casa alla porta delle brezze
sostare nel tramonto e sostituire il sole.

La luna con un fiore rosso tra i capelli  
lacrimare al tepore del fuoco di vecchie spine 
e  le fiamme come  mani d’oro pallido  
destare i sogni di un bambino al sorgere e calare,
e udito la civetta col topo sul fico e il suo rantolo.

Ho visto la bocca della notte soffiare sulla cenere delle stelle 
e rinvigorirne lo splendore,
nei loro occhi l’eterna età l’impietrito rigore,  
e monti e mari e genti in ogni pietra le sue forme
scolpite di compassione come mani di donna 
che dormono dentro i pensieri vicino al cuore.


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